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Occhi azzurri in un mare di stelle






E’ difficile parlare oggi dei consueti argomenti di questa rubrica. E’ difficile perché siamo imprunetini, e il 4 dicembre porta con sé da sei anni una tristezza che avvolge tutto il paese, come un manto di neve dell’inverno che si affaccia.

Il 4 dicembre 2012 ci lasciava Francesco Giani, un ragazzo di neppure diciassette anni, pronti a essere compiuti il 27 dello stesso mese. Qualcuno di noi lo conosceva molto bene, ed è per far accendere nella mente di tutti un suo ricordo che vogliamo dedicare a lui le righe di questo articolo.

Francesco era un figlio di Impruneta, nella quale era cresciuto e nella quale identificava la propria vita e le proprie passioni. Il paio di occhiali che portava sin da piccolo non coprivano gli occhi azzurri con cui guardava il mondo. Erano occhi timidi, a volte rapidi a guardare altrove perché imbarazzati, ma non erano mai spenti; brillavano di quella curiosità che solo i ragazzi, o meglio ancora i bambini hanno addosso, della voglia di scoprire il mondo partendo dalle cose piccole, semplici ma proprio per questo più belle.

Francesco amava la natura e trascorrere a contatto con essa una gran parte del suo tempo. I boschi e i luoghi silenziosi della nostra terra erano la tana in cui si rifugiava, tra gite in bici e camminate, e non a caso aveva scelto l’Istituto agrario come strada per tracciare ciò che sarebbe diventato da grande.

In ogni cosa che faceva metteva tutto se stesso: la passione lo rendeva attivo, instancabile, soprattutto negli sport, che si trattasse di sciare, di pedalare o di impugnare una racchetta nell’amato tennis. Lo sguardo di bambino che copriva il suo volto lo rendeva in effetti quasi diverso dagli altri, forse proprio più infantile, o magari solo più buffo. Chi lo conosceva amava scherzosamente prenderlo in giro qualche volta, non trovando però mai da parte sua un gesto di cattiveria, neppure nei confronti di chi in passato aveva esagerato.

Francesco era buono, senza malignità, e se voleva chiudere le porte al mondo al massimo si ritirava nella sua cameretta affacciata su via Vanni, correndo per la piazza con indosso la tuta e sul viso di lentiggini il vento che gli arrossava le guance senza riuscire a fermarlo. Proprio in quella sua affezionata cameretta il destino venne a prenderlo un piovoso pomeriggio di otto anni fa, era un martedì. Un attimo, un istante, il solco tagliente tra l’energia di un ragazzo e il suo immobile silenzio.

Non esiste una spiegazione, la natura dovrebbe vedere ognuno di noi crescere e compiere il proprio ciclo, non costringendo mai un genitore a salutare il proprio figlio; quegli occhi di Francesco, chiusi per sempre, furono accompagnati da un paese intero, due giorni dopo, per l’ultimo viaggio, stavolta sotto un tiepido sole che portava con sé una luce di speranza.

Ad essa ci siamo aggrappati in questi anni, rischiando tante volte, soprattutto all’inizio, di mollare la presa, perché Francesco fisicamente non c’era più, e le domande su quale senso avesse avuto una vita così breve e già finita riempivano la testa di tormenti. Francesco non è andato via, ha solamente cambiato il modo di essere tra noi; c’è un tempo oggettivo, fatto di ore, minuti secondi, e c’è un tempo interiore, fatto di sensazioni, immagini, ricordi. Se fossimo solo concretezza materiale, in fondo non saremmo uomini.

Francesco si è fermato nelle nostre menti, attraversando il tempo per tornare di fronte a noi ogni volta che lo vogliamo, fermo in un sorriso come in una discussione, in un’avventura come in un incontro casuale. E poiché lasciamo sempre qualcosa di noi quando ce ne andiamo da un posto, Francesco ha posato se stesso in maniera indelebile in ogni luogo in cui ha vissuto.

A tenerlo vivo contribuiscono molto anche gli eventi che lo vedono protagonista, proprio laddove egli amava stare: il torneo al Circolo tennis e la cena di settembre sul rione del Sant’Antonio lo riportano a casa, riuscendo a riunire ogni anno tantissime persone. Chi ha intrecciato la propria vita con la sua saprà per sempre che non sarebbe stata la stessa cosa, senza Francesco.

Imparando a guardare la vita con semplicità e rispetto ognuno vedrà crescere dentro un seme bellissimo, che di Franci avrà il dolce sapore del ricordo. Se ci mancherà, così tanto da volergli dare un abbraccio infinito, non dovremo fare altro che pensarlo, e magari di notte provare ad alzare lo sguardo in alto: in un mare di stelle, in quei lumi che fin da piccoli sappiamo essere la casa di chi non c’è più, ce ne sarà una con gli occhi azzurri, anni luce lontana ma allo stesso tempo legata in eterno, nel profondo, al nostro cuore.






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