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Neuroni improduttivi






Nella Germania nazista degli anni Trenta, agli alunni delle scuole venivano sottoposti problemi di aritmetica del seguente tipo: “un malato di mente costa 4 marchi al giorno, un handicappato 5 marchi; in molti casi un funzionario non arriva a 4 marchi al giorno. Quanto costano costoro complessivamente ogni anno? Quanti prestiti matrimoniali di 1000 marchi l’uno si potrebbero ricavare da questi soldi?”.

Il nazismo è per fortuna perito settantacinque anni fa, nonostante qualche recrudescenza di minoritari gruppi sparsi per il globo, ma l’eco ideologica contenuta in affermazioni come quella del problema sopra citato risuona sotterranea nella nostra quotidianità. La settimana scorsa il Presidente della Regione Liguria Giovanni Toti se n’è uscito con un tweet eufemisticamente definibile infelice: riflettendo sui numeri del Covid, e pur addolorandosi per ogni vittima, Toti ha invitato a tirare un sospiro di sollievo dal momento che la stragrande maggioranza dei liguri deceduti il giorno prima erano “persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”.

vignetta di Satiraptus

E’ evidente che Toti non sia un nazista, come è evidente che gli sia del tutto estranea l’idea che alcune categorie di persone debbano essere fisicamente eliminate, come accadeva nel Terzo Reich per disabili e malati mentali. Quando però si leggono certe parole non può che venire un brivido dietro la schiena, e l’indignazione non può che accompagnarsi ad una profonda riflessione sul messaggio che ne sta alla base.






Il governatore si è scusato ed ha affermato di non essere stato lui ma un suo collaboratore a scrivere quelle boiate; quale che sia la verità sull’accaduto (lo scaricabarile sul collaboratore puzza di balla, diciamocelo), è molto grave che concetti del genere siano concepiti ed esternati, ed ancor più grave è quando il protagonista è una carica pubblica. Dietro alla visione degli anziani come individui improduttivi e dunque inutili si nasconde una bieca ed estrema visione capitalistica del mondo, secondo la quale tutto ciò e tutti coloro che non producono sono elementi di scarto nella società, pesi che intralciano il costante e necessario incremento della ricchezza ad ogni costo.

Il lavoro, o meglio la produzione, al primo posto. E’ una concezione condivisa in fondo da un’ampia fetta delle destre italiane e internazionali, dai sostenitori del capitalismo più selvaggio e dalle élites economico-finanziarie; nella frase dell’esponente leghista Claudio Borghi, il quale ha affermato che “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sulla salute”, si ritrova lo stesso humus perverso, al di là del fatto che non ci vuole comunque un genio per comprendere l’impossibilità di lavorare se non si sta bene.

Nessuno può permettersi di giudicare un’altra vita sulla base della “produttività”, anche perché quegli anziani che vengono additati come fardelli succhia-pensioni il loro contributo alla collettività lo hanno già dato, a differenza di molti politici. Certi settantenni o ottantenni poi sono molto più importanti e utili di molti “giovani”, vedasi Gigi Proietti, inimitabile artista la cui scomparsa lascia un vuoto enorme nella cultura e nella società italiana.

Persino la sua anima ha più valore per questo Paese dei molti circensi che si spacciano per statisti; tra questi vi è senz’altro il buon Toti, che deve le sue fortune politiche ad anni di servitù a Berlusconi in Mediaset prima e in Forza Italia poi. I nani però si credono giganti, si sa. Viviamo in tempi in cui è difficile riconoscere i positivi asintomatici, mentre i cretini sintomatici proliferano e si riconoscono subito senza bisogno di tampone, con quell’assembramento incontrollato di neuroni improduttivi.






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