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Lo sport entra in Costituzione. Cosa cambia e perché bisogna fare di più

Il riconoscimento delle “attività sportive” è entrato nella Costituzione Italiana. L’ha deciso la Camera dei Deputati con un voto all’unanimità: 312 voti favorevoli su 312. Un atto storico per lo sport, o meglio dell’attività sportiva, come si precisa all’articolo 33: quello che comincia con “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” e a cui alla fine è stata aggiunta questa formula: “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme“.

Di inserire lo sport nella Costituzione si era discusso anche nella scorsa legislatura, quando il Parlamento aveva affrontato l’argomento con un trasversale consenso alla proposta, ma lo scioglimento anticipato delle Camere aveva poi imposto la ripartenza da zero. Con questa storica decisione del Parlamento, l’Italia diventa il decimo Paese a citare lo sport nella propria Carta, dopo Portogallo, Grecia, Bulgaria, Croazia, Lituania, Polonia, Romania, Spagna e Ungheria.

Il bello, però, deve venire adesso. D’accordo l’inserimento dello sport nella Costituzione, che ha soddisfatto non poco il Ministro Abodi (“Non si tratta di un’enunciazione di principio ma di un impegno in cui saremo la stessa parte”). Ora però è il momento di parlare dei contenuti. Il riconoscimento dello sport nella nostra Carta di per sé non attribuisce risorse all’attività di base né alle società sportive che praticano l’attività agonistica. Sarà compito delle istituzioni trasformare la soddisfazione del completamento dell’articolo 33 in fiducia concreta, reale nello sviluppo del nostro movimento. In che modo? Banalmente, sostenendo con risorse concrete le società. Che hanno risentito dei problemi del Covid, come ben sappiamo. Che hanno avuto difficoltà col pagamento delle utenze la scorsa stagione visto il rincaro delle bollette. E che fra mille problemi sono comunque ripartite: quell’articolo 33 deve rappresentare in primo luogo loro.

Non solo. Inserire lo sport nella Costituzione significa renderlo una materia di conoscenza comune a tutti i cittadini. Perché non insegnarlo nelle scuole? Perché non fare in modo che si studi la storia dello sport italiano, i suoi significati storici e politici durante i momenti più importanti del Novecento e degli anni recenti? Non si tratta di potenziare l’insegnamento dell’educazione fisica, ma più che altro di rendere più consapevoli i ragazzi dell’essenzialità sociale e storica dello sport. Sarebbe, forse, un’interessante carta da giocare per evitare l’abbandono dell’attività sportiva fra gli adolescenti, motivandoli a proseguire. Un tema che genera ancora discreto imbarazzo, purtroppo, nelle società sportive e fra le famiglie.

E ancora. Dallo sport in Costituzione si può passare alla discussione reale e concreta del “lavoro sportivo” nelle società dilettantistiche e di base. La figura del “lavoratore sportivo” di cui si è discusso ampiamente durante l’ultima riforma dello sport, necessita chiarimenti e va circoscritta meglio, per non rimanere nell’ambiguità. Infine, di risorse si parlava prima: il settore sportivo ha ricevuto soltanto lo 0,5% degli stanziamenti pubblici del PNRR. Ora che è parte della Costituzione, come ampiamente si è sbandierato su tutti gli organi di informazione, non è forse il momento di dedicargli maggiori investimenti?

Lorenzo Topello

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