Nel “decadentismo” toscano: una domenica a Toiano, paese fantasma
Soundtrack del video: Dukwa
Immagini e montaggio: Matteo Merciai
Tra i colli ripolesi, superstite tra i boschi, si inerpica il “Palazzaccio” (o quel che ne resta). Le sue rovine, da oltre un secolo, sono il pretesto per rimembrarne un passato glorioso e viaggiare coi ricordi, unico esercizio per il quale il rudere può considerarsi ancora patrimonio ripolese.
Il Palazzaccio, in origine Castello di Marcignano, fu fatto costruire dai Da Gavignano nel XIII secolo. Nel 1314 passò ai Bardi, soliti nell’acquistare poderi destinandoli ad attività quali coltivazioni, legname, pascoli.
Denunciato per la prima volta al catasto dai Rinuccini come “Torre con Fortezza”, da baluardo difensivo divenne presto luogo di villeggiatura.
Nel 1434 venne venduto alla Lorenza, vedova di Amerigo Dè Benci i cui figli erano Giovanni e Ginevra, detta “La Bencina” (dipinta da Leonardo in “La Dama dei Ginepri” e, forse, ne “La Gioconda”). I Benci, disattenti alla gestione del Castello, lo usavano piuttosto come merce di scambio e così Maddalena, ultima erede della famiglia, ne fece la sua dote matrimoniale nell’unione con Gino Capponi.
Dal 1550 sino a fine ‘800 restò dei Capponi; fu poi di Pasquali da Cepperello, dei Travaglini, mentre oggi è proprietà di Roberto Rodriguez.
Il nobile passato del Palazzaccio è arricchito da una citazione illustre: assieme ai Castelli di Tizzano e Musignano fu definito fortezza difensiva fondamentale nella Bolla d’Oro del 1356, redatta da Carlo IV di Lussemburgo. Prima della sua decadenza, a metà del 1500, il “Palazzaccio” fu anche luogo di dogana: per passarvi, uomini in marcia lungo la maremmana dovevano pagare una salata gabella.
Il resto è Storia.
Storia di celebrazioni, come quella dell’Arcadia dei Pastori Antellesi, schiera di letterati, scienziati, poeti che dedicarono al Palazzaccio una “Epigrafe Commemorativa per il nome Marcigliano”, con tanto di lapide datata 6 giugno 1604, oggi dispersa.
Storia di ipotesi riguardanti la sua caduta in disgrazia: il Torrigiani, segretario comunale, nel 1892, scrisse di un “Palazzaccio” devastato da una rivolta popolare che recriminava angherie dei proprietari ed alti dazi.

Più realisticamente, secondo il Carocci, il “Palazzaccio” cedette perché costruito su un terreno friabile reso instabile da intemperie e trascorrere del tempo.
Fino al crollo di una considerevole parte che già nei primi del ‘900 dette all’ex castello la fisionomia attuale.
Causa furti, infine, non ci sono più né bassorilievi né inserti decorativi che un tempo adornavano il Castello. In compenso, oggi, ad abbellire quell’istante di pianura in mezzo al bosco ci sono sassi intagliati tramutati in opere d’arte da Antonio Crivelli, ripolese che ama scolpire uomini nella pietra.
Il “Palazzaccio del Diavolo”, per il suo aspetto lugubre al tramonto, non verrà mai riqualificato ma resta luogo di fascino e aneddoti, adatto per una gita domenicale tra storia e natura.
Dov’è il Palazzaccio? Da Capannuccia prendere per S.Andrea a Morgiano, passare l’agglomerato di casa e proseguire per Via delle Tavarnuzze in direzione Poggio al Mandorlo: maps