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Il cattivo esempio






Pochi giorni fa, il 29 agosto, si è celebrato il ventinovesimo anniversario dell’uccisione di Libero Grassi, eroica voce che tra le prime ruppe il muro di connivenza della Palermo e della Sicilia degli anni ‘80 nei confronti del pagamento del pizzo imposto da Cosa Nostra. Grassi venne freddato sotto casa alle prime luci del mattino, mentre si stava recando a lavoro; due sicari del boss Ciccio Madonia gli spararono alle spalle, macchiando le strade del capoluogo siciliano dell’ennesima vittima di mafia, in un periodo tragico che ancora doveva vivere il culmine nelle stragi di Capaci e via D’Amelio.

In un mondo in cui quasi il 90% di imprenditori e commercianti cedeva al ricatto mafioso, Grassi decise di non abbassare la testa e non macchiare la propria dignità e il proprio lavoro, senza però trovare il benché minimo sostegno né da parte della politica né tantomeno da parte degli industriali: tali soggetti non furono meno responsabili di Cosa Nostra nella sua uccisione, come ricorda la non-lapide che ogni 29 agosto i figli attaccano sul muro adiacente al luogo dell’omicidio.

Parlare di Libero Grassi in questo periodo non è solo il doveroso ricordo del sacrificio di un uomo giusto, ma anche l’occasione per mostrare il volto positivo di una categoria, quella imprenditoriale, esposta negli ultimi tempi al pubblico ludibrio.

Il riferimento è naturalmente a Flavio Briatore, che dopo aver fatto un’ottusa campagna negazionista sul Covid ha visto abbattersi su di sé il più spietato dei karma ed è stato ricoverato come positivo al San Raffaele di Milano. Non pago di questi eventi già parecchio umilianti, Briatore ha deciso di immergersi da capo a piedi nelle acque del ridicolo parlando di problemi di prostatite e minimizzando la gravità del contagio, accusando poi del dilagare del virus al Billionaire non le mancate misure di sicurezza adottate dalla direzione, cioè da egli stesso, bensì i cattivi comportamenti dei clienti.

Questa vicenda grottesca ha scatenato un inevitabile putiferio intorno a Briatore, ma come già accaduto in passato si sono levati gli scudi di coloro che denunciano un odio classista e marxista nei confronti dell’imprenditore e in generale dei personaggi benestanti, un livore verso il lusso figlio solo di invidia sociale, frustrazioni e radicalismo di sinistra.






Non c’è tuttavia nessun odio sociale nel dire che Flavio Briatore rappresenta uno dei peggiori esempi di questo Paese.

Il benessere, o comunque il lavoro di chi fa impresa e ha successo nel proprio settore non sono certo una cosa negativa, e il nome di Libero Grassi è l’eroico simbolo di quanto luminosa possa essere la stella degli imprenditori determinati e affermati.

In Briatore non c’è niente di eroico, né tantomeno di positivo, e non c’era bisogno dei suoi deliri sul Covid per dimostrarcelo. Condannato di recente per l’evasione fiscale dell’Iva sul proprio mega yacht, il signor Billionaire ha un passato oscuro e criminoso su cui nel 2010 i giornalisti Andrea Sceresini, Maria Elena Scandaliato e Nicola Palma hanno tentato di far luce nell’omonimo libro.

Briatore inizia la propria scalata sociale negli anni ’70 al fianco di Attilio Dutto, un costruttore di Cuneo; nel frattempo si occupa per alcuni casinò (gestiti dalla malavita) di portare clienti ai tavoli, intascandosi una parte delle loro perdite. Tra i clienti portati ai casinò da Briatore c’è proprio Dutto, che perderà parecchie decine di milioni nelle sale della Costa Azzurra. Nel 1979 Attilio Dutto salta in aria con la sua auto, un delitto ancora irrisolto e seguito dalla misteriosa sparizione di 30 miliardi di lire.

Dalle testimonianze raccolte nel libro si configura però la mano della mafia e pare inoltre che lo stesso Dutto volesse rovinare Briatore per le truffe che gli aveva giocato. Negli anni ’80 si trasferisce nella “Milano da bere”, dove si avvicina a Bettino Craxi e a Emilio Fede, con cui riprende il giro delle truffe ai tavoli verdi: scoperto dalla polizia, fugge da latitante nelle Isole Vergini fino al 1990, quando grazie all’amnistia può rientrare in Italia.

Da qui l’incontro con i Benetton, la Formula 1, le mogli bellissime e le copertine, fino al Billionaire. Ripete sempre che ce l’ha fatta da solo, che incarna il sogno americano e che volere è potere. Un’immagine apparentemente splendente ed esemplare. Dal passato trasuda però una puzza penetrante, sebbene tenuta a tacere per anni. E nel presente, incarnata in una faccia di botolino e in una parlata da analfabeta, questa puzza diventa l’immagine insostenibile di un uomo da cui le giovani generazioni non hanno niente da imparare.






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