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Benvenuto Presidente






Come dichiarava Massimo Fini qualche giorno fa sul Fatto, dal profondo di noi stessi tutti dobbiamo gridare: “Berlusconi presidente, Berlusconi forever!”, sostenendo a tamburi battenti la candidatura di quest’ultimo a Presidente della Repubblica.

“Rappresenta al meglio il peggio degli italiani”- dice Fini- “almeno quelli di oggi: disonesti, corrotti, corruttori, opportunisti, cinici.”

In effetti, stando ai rumors delle ultime settimane, all’interno del centrodestra sarebbe stato stipulato un patto per portare l’ex Cavaliere a ricoprire la più alta carica dello Stato, ambizione che egli da sempre cova e per la quale ha sempre trovato lacchè e cortigiani pronti a sostenerlo, come in un cammino di beatificazione. Certo, se Berlusconi nel 2022 decidesse davvero di candidarsi, lo farebbe alla veneranda età di 85 anni e con la prospettiva di concludere il settennato a 92, dunque il corso della vita potrebbe far affievolire tale ipotesi; non sarebbe tuttavia il primo caso di presidenti “Matusalemme”, come testimoniano Napolitano e Pertini, il primo in carica fino ai 90 e il secondo che agli 89 aveva intenzione di ricandidarsi.

A spingere Silvio poi c’è un coro che investe una bella fetta del mondo politico, con addirittura alcuni 5Stelle e ovviamente il Partito democratico, come nella migliore tradizione della sinistra italiana negli ultimi 25 anni. Le convergenze e i favori fatti al magnate di Arcore dai vari governi di centrosinistra succedutisi, a partire dall’incapacità di approvare una legge sul conflitto di interessi, sono il bagaglio che è ben saldo sulle spalle del Pd di oggi, il quale proprio per bocca del segretario Zingaretti accoglie Berlusconi a braccia aperte nella squadra di sostegno al governo, dipingendolo come un responsabile statista e un affidabile interlocutore politico.






Il fu Patto del Nazareno, orchestrato dal figliol prodigo di Silvio, Matteo Renzi, sembra trovare un nuovo capitolo nel Pd zingarettiano, depurato dagli uomini (non tutti) ma non dalle idee della sua catastrofica stagione targata Leopolda.

Di sicuro è apprezzabile che Berlusconi nel bel mezzo di una pandemia si stacchi dalla becera propaganda di Salvini e Meloni e mostri apprezzamento per gli sforzi del governo, ma questo non può giustificare il cantarne le lodi facendo tabula rasa di tutto ciò che costui ha rappresentato per quasi secolo di storia d’Italia.

Ma davvero ci siamo già dimenticati di tutto? Il Caimano incarna probabilmente l’unico caso al mondo di un leader politico che nonostante una condanna definitiva, quattro anni per una frode di 7 milioni di euro, rimane al suo posto di leader di partito e viene ricevuto al Colle per ogni consultazione, potendo contare su milioni di italiani che ancora lo votano.

La condanna del 2013 è solo la punta di diamante di una carriera giudiziaria che vede ben nove prescrizioni per reati che coprono quasi tutto il Codice penale (corruzione di magistrati, falso in bilancio, finanziamento illecito, falsa testimonianza e in almeno tre di questi casi la Cassazione appurò che quei reati erano stati effettivamente commessi ma era passato il tempo utile per giudicarli). Berlusconi è l’uomo degli scudi fiscali, delle leggi ad personam, dei condoni, dello sfascio della scuola pubblica, del Bunga bunga.

Berlusconi è colui che dopo oltre quarant’anni ancora deve spiegare dove ha preso i soldi per fondare il suo impero, tra una holding intestata a un’estetista, una ad un parrucchiere e un incontro con il boss Stefano Bontate. Condivide la fondazione di Forza Italia con Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa e in primo grado a 12 anni nel processo per la trattativa Stato-Mafia; è di Berlusconi e Dell’Utri che parla Paolo Borsellino in un’intervista (a lungo censurata dai media italiani) del 21 maggio 1992, due giorni prima della strage di Capaci, oltre che di Vittorio Mangano, mafioso condannato al Maxiprocesso e definito da Dell’Utri “il mio eroe”.

E’ Forza Italia, secondo quanto riferiscono molti pentiti e secondo quanto accertato dal processo sulla Trattativa, ad aver dato garanzie a Cosa nostra per far finire la stagione delle stragi, ponendosi come nuovo referente politico che proteggesse gli interessi dei boss. Davvero ci siamo dimenticati di tutto questo? Parrebbe proprio di sì. Il problema è che parecchi, e non solo tra i suoi sostenitori, mai se ne sono accorti.






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