Nel “decadentismo” toscano: una domenica a Toiano, paese fantasma
I gusti sono soggettivi, ma alcuni verdetti sono buoni e giusti per tutti. Dire che Robert De Niro è la storia del cinema e che ne è uno dei massimi, se non il massimo, esponente del Novecento non è un’opinione, è un fatto. E chi non condivide, che guardi Temptation Island.
Lo scorso 17 agosto questo mostro sacro ha compiuto ottant’anni, e sebbene se ne sia parlato a lungo non è mai abbastanza il tempo che si può dedicare ad un tale mito vivente. Bella cifra Robert, mica poco: certo un po’ rattrista, perché la vita passa e le occasioni per vederlo ancora in azione diminuiscono sempre più. Il controcanto tuttavia lo fa l’immortalità di una carriera unica, lunghissima, impreziosita da gemme della settima arte che l’inevitabile ciclo della vita non potrà cancellare. Nel suo sangue ci sono diverse origini, tra cui spiccano quelle irlandesi e soprattutto italiane; i nonni paterni venivano da Ferrazzano, in provincia di Campobasso, da cui emigrarono nel 1890 portandosi dietro il nulla in averi e il tutto in speranze, come migliaia di connazionali dell’epoca.
Dall’esordio negli anni Sessanta con la commedia Oggi Sposi di Brian De Palma, De Niro ha preso parte a decine di film, ottenendo otto candidature agli Oscar e vincendo la statuetta in due occasioni. Ridurre la sua carriera ad una mera cronaca delle presenze e dei “titoli” sarebbe quasi infamante, considerando anche che di Premi Oscar ne ha vinti ben pochi in relazione alle molteplici interpretazioni magistrali. Ma si sa, non sono i premi a fare gli attori, come non sono i Palloni d’oro a fare i calciatori. I film che gli sono valsi l’Oscar sono Toro Scatenato come miglior attore protagonista e Il Padrino II come miglior attore non protagonista. Indimenticabili entrambi.
Nel capolavoro di Francis Ford Coppola De Niro interpreta il giovane don Vito Corleone, negli anni della difficile giovinezza nella New York del XX secolo, con la progressiva e intuitiva creazione di un impero all’interno del crimine organizzato italoamericano. Toro Scatenato invece è la storia di Jack La Motta, pugile di origine italiana campione del mondo dei pesi medi tra il 1949 e il 1951.
De Niro mostra qui tutta la versatilità e l’immedesimazione nei personaggi che lo hanno reso celebre: dovette prendere 27 chili e mezzo per entrare nei panni di La Motta, con il risultato di rappresentare al meglio la potenza, la grinta e la voglia di rivincita di questo figlio del Lower East Side di Manhattan. La regia di Toro Scatenato è firmata da Martin Scorsese, fenomenale regista con cui De Niro ha instaurato fin dagli anni Settanta una collaborazione dai magici frutti.
Tra i capolavori più famosi c’è Taxi Driver del 1976, in cui De Niro è il veterano Travis Bickle, che frustrato e insoddisfatto nella sua vita di tassista notturno a New York si perde in un delirio psicotico per diventare uno spietato giustiziere. Il legame De Niro-Scorsese ha segnato la storia del cinema: inarrivabile nel suo genere Quei bravi ragazzi, gangster movie in cui il virtuosismo di De Niro si affianca a quelli altrettanto eccezionali di Ray Liotta e Joe Pesci, con quest’ultimo nel punto più elevato della carriera. Qualche anno dopo il mondo della malavita ritorna protagonista con Casino, dove De Niro trova ancora la spalla sicura di Pesci.
Nel 1991 è sempre Scorsese a dirigerlo nell’avvincente thriller Cape Fear- Il promontorio della paura, mentre nel 1993 esordisce alla regia con Bronx, nuovo film di mafia con dedica particolare al padre scomparso. Degno di nota è senza dubbio Heat- La sfida, poliziesco del 1996 in cui De Niro recita a fianco dell’amico e altro mostro sacro di Hollywood Al Pacino (impossibile dire chi sia migliore, è un gioco poco sensato, ma ognuno di voi può esprimersi), così come Innamorarsi, film sentimentale del 1984 dove la vita di due persone sposate e conosciutesi per caso (a fianco di De Niro c’è la senza tempo Maryl Streep) finisce per intrecciarsi grazie ai libri.
Negli anni Duemila De Niro ha spaziato da commedie di buon gusto come Ti presento i miei al ritorno sui classici film di mafia come il recente The Irishman, pellicola pluricandidata all’Oscar con un cast d’eccezione e diretta da Scorsese; proprio sotto la regia di Scorsese e insieme a Leonardo Di Caprio De Niro tornerà nelle sale il prossimo novembre con l’atteso Killers of the Flower Moon. Per trovare però altri immortali capolavori che hanno visto recitare l’attore newyorkese bisogna tornare agli anni Settanta e Ottanta. Qui troviamo Gli Intoccabili di Brian De Palma, in cui De Niro interpreta Al Capone nella Chicago del proibizionismo, Il Cacciatore di Michael Cimino, storia di un gruppo di amici che si ritrovano dall’anonima quotidianità di periferia della Pennsylvania all’inferno della guerra del Viet Nam, Novecento di Bertolucci, monumento del nostro cinema che racconta 50 anni di storia italiana attraverso la vita degli amici di diversa estrazione sociale Alfredo (Gerard Depardieu) e Olmo (De Niro), e Mission, mai troppo celebrato film che vede De Niro nei panni di un mercante di schiavi che vive un profondo percorso di redenzione, con la colonna sonora straordinaria di Ennio Morricone.
Per gusto di chi scrive, ma forse anche per effettiva inarrivabile bellezza, la consacrazione di Robert De Niro è legata a C’era una volta in America di Sergio Leone. E’ sempre la celeste musica di Morricone ad accompagnare questa lunga e particolare opera, solo all’apparenza film di mafia, in realtà un compendio della vita umana tra ricordi, amicizie, amori vissuti e perduti, errori, fallimenti, in uno scorrere e contemporaneo intrecciarsi del tempo ispirato a “La Ricerca del tempo perduto” di Proust.
Il David “Noodles” Aaronson interpretato da De Niro è uno dei personaggi più famosi del cinema: in quell’enigmatico e unico sorriso finale, mentre si trova disteso a fumare oppio nel teatro cinese, c’è tutta la grandezza e la dimensione leggendaria di un attore capace come pochi di far emozionare. Tanti auguri, caro Robert. Mille di questi anni, mille di questi capolavori.