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“Una brutta bestia”: il racconto del ripolese Giancarlo, ricoverato per Covid-19






“Ho deciso di raccontare la mia terribile esperienza perchè molte persone, ancora, sottovalutano il coronavirus. E’ davvero una brutta bestia, credetemi”. 

Giancarlo, 69 anni, ripolese residente ad Antella, ha affrontato (e vinto!) il Covid-19.
Scampato ad un virus invisibile e maledetto che ha già causato oltre 15.000 decessi in Italia, dal 1 Aprile è tornato a casa, seppur in quarantena, in attesa del tampone che ne dovrà attestare la definitiva negativizzazione.

“Quel venerdì 13 Marzo lo ricorderò per sempre, ho temuto di imboccare una strada senza ritorno. Ho avuto realmente paura”. 

Era il 4 Marzo, agli albori di una pandemia non ancora tale, quando Giancarlo iniziò a sentirsi male: qualche tacca di febbre che salì a 38,5 gradi il giorno successivo, senza che si palesassero altri sintomi.  “Il medico di base mi prescrisse la tachipirina, la temperatura scendeva per qualche ora ma non riuscivo a guarire. Chiamai allora il 118 ma, in assenza di altri sintomi, non mi venne fatto nessun test.

Sembrava a tutti gli effetti un’ordinaria febbre di stagione:

“Eppure avevo la sensazione di una febbre strana, mai avuta prima e di un freddo da battere i denti malgrado tachipirine e coperte che indossavo. Dopo una settimana di malattia, mercoledì 11, ebbi un abbassamento repentino della pressione e…”






Giancarlo svenne, cadendo a terra di netto e perdendo conoscenza.
Il viaggio sull’ambulanza diretto all’Ospedale Santa Maria Annunziata, il tampone e l’esito: positivo al Covid-19.
“Mi mandarono al sesto piano, nel reparto malattie infettive”.

Giorni drammatici e decisivi.
Il ripolese peggiorò nelle prime 48 ore di ricovero manifestando, a causa di una polmonite acuta, chiare difficoltà nella respirazione.

Era venerdì e fu una giornata particolarmente difficile, c’era la seria eventualità che mi trasferissero in terapia intensiva ma grazie alle competenze dei medici riuscì a superare quei momenti: fu un farmaco antireumatico ad apportare i primi miglioramenti. Per tre giorni ho dovuto portare il CPAP, ovvero un “casco” per una ventilazione non invasiva che immetteva ossigeno. E’ stata dura: venivo nutrito tamite flebo, non potevo neanche grattarmi il naso ed il rumore della ventilazione era continuo e disturbante. 

Per fortuna, però, gli sforzi non sono stati vani.

“In un frangente così critico penso abbia significato molto la mia volontà di non arrendermi, di accettare quel casco costrittivo e reagire con spirito propositivo. C’è chi non ce la fa…“

In quei momenti di isolamento e incertezza, anche sperare può diventare una chimera.
Giancarlo ha perso dieci chili in altrettanti giorni di febbre poi, una volta tolto il CPAP, è passato alla mascherina per l’ossigeno e dal reparto malattie infettive è stato trasferito al terzo piano, dove vengono monitorati i pazienti che hanno superato la fase acuta del Covid-19.
Passo dopo passo verso una tiepida luce in fondo al tunnel.

“E’ stata un’esperienza traumatica. Non conosci quel che può accaderti e non hai i tuoi cari a fianco, se non attraverso lo smartphone. Combatti da solo e in questa lotta chi ti salva la vita, anche moralmente, sono gli operatori dell’ospedale: medici, infermieri, inservienti. Tutti.
Sono stati parte fondamentale della terapia: non mi hanno mai fatto mancare una parola di conforto. Sei tagliato fuori dal mondo, rischi di perdere la dignità e farti sopraffare dalla disperazione, ma loro ci sono. E te lo dimostrano!

Oggi, dopo 21 giorni di ospedale, Giancarlo è tornato a casa da “clinicamente guarito”.

“No, non è una semplice influenza. Ciò che porterò con me di questo drammatico “viaggio” (fortunatamente) con ritorno è la dedizione del personale sanitario e l’aver conosciuto altri pazienti Covid-19: accomunati dalla malattia ho stretto un legame  particolare con alcune persone, un’amicizia che coltiverò in futuro.”






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